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I nostri quaderni

racconti di un'impresa sana e naturale

Pioggia senza misura


Gli olivi non hanno ancora recuperato il loro splendore d’argento e ostentano tristi l’imbrunire tardo dei loro frutti; le terre brulle della pianura non sono ancora ravvivate dalle tenui verde speranze dei frumenti e delle fave; le vigne, sferzate dal vento allungano esili dita al pianto del cielo: quest’anno non si accenderanno di oro, amaranto e porpora; i pendii delle colline non sognano ancora il seme dei fieni profumati di maggio, si ammantano precocemente di bianco e, malinconici, si spogliano dei radi fili d’erba fiaccati dal vento e dai primi geli. La luna non fila l’oro delle notti d’autunno e, nel fango e nelle pozze della pianura, stempera il suo volto nell’argento, di nebbia e di pioggia. La mia terra è viva di colori; la mia terra vive di colori. Come la tavolozza di un pittore dal cuore grande e generoso, impasta un colore per ciascuno degli impercettibili volti del tempo che passa e se ne veste; poi li mescola ad arte e s’adorna di vivaci armonie di colori e tinte, che vibrano le note della danza delle stagioni e anticipano l’esperienza di chi si accinge a lavorarla. Ma le luci della pianura s’allargano meste sotto le sferzate di pioggia e fango e il grano non cresce, le ombre degli alberi affogano ai bordi degli acquitrini, l’erba gela sui fossi delle strade: tavolozza insensata dell’assurdo decorso di questa stagione.

Qualcuno si stringe nelle spalle convinto che non possa mai far più buio di mezza notte. Qualcun altro guarda attonito in silenzio e confida nell’ostinazione di un sole ormai sempre più lontano all’orizzonte. C’è chi arriva a darsi coraggio urlando che un disastro simile servirà di lezione a tutti quanti speculano sui prezzi dei prodotti dell’agricoltura: del resto chi lavora in campagna sa che le stagioni cattive esistono da sempre e ha imparato a mettere da parte ricchezza per periodi di più di un anno. In realtà è rabbia finta: ci si guarda attorno spauriti e non trovando il grano nei campi o di fronte alle agonie delle olive ancora sugli alberi, si stringe il cuore e ci si sente innegabilmente più poveri.

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